TAT − WE ARE BUT ONE a cura di Laura Liberale − 13) Androginia sacra

TAT (WE ARE BUT ONE)

—–Messaggio originale—–

Da: Laura Liberale
A: Claudia Boscolo
Oggetto: Androginia sacra

 

“Veduto il disco intero della luna, simile al volto di una dea, rosseggiante come zafferano fresco, e la foresta illuminata dai dolci raggi dell’astro, egli suonò la melodia rapitrice della mente delle donne dai begli occhi.
Quelle che mungevano abbandonarono la mungitura per andare da lui; anelanti, altre lasciarono il latte sul fuoco per unirsi a lui; altre ancora partirono senza aver tolto i dolci dal forno. Quelle che si vestivano, che facevano bere il latte ai bambini, che servivano i mariti, che mangiavano, che si pulivano, che si cospargevano di oli, che si truccavano gli occhi, smisero di farlo e, con abiti e ornamenti in disordine, si precipitarono da lui, e gli dissero: “Ti preghiamo d’irrorarci col nettare effuso dalle tue labbra. Il fuoco del nostro cuore è generato dal tuo sguardo sorridente e dal tuo canto melodioso”.
Giunto con le fanciulle sulla sponda del fiume − la sabbia rinfrescata dal vento odoroso di loto e rallegrato dalle onde; il desiderio delle belle eccitato con gli abbracci, col tocco di mani, capelli, cosce, fianchi e seni, con gli scherzosi graffi delle unghie, con le risate, gli sguardi, i giochi − egli si dilettò assai.
Là, diede inizio al divertimento della danza con quei gioielli di donne, che si unirono devotamente, gioiosamente per le braccia.
La festa della danza cominciò: le mandriane disposte a cerchio, furono da lui − quale signore dello yoga, in grado di presenziare (moltiplicandosi) in mezzo a ciascuna coppia di fanciulle − tenute per il collo, ciascuna convinta di essere da sola con lui.
Nel cerchio della danza si diffuse il frastuono dei braccialetti, delle cavigliere dei campanellini delle donne che lo amavano. Lì con loro, al massimo dello splendore, egli era come un grande smeraldo tra gemme d’oro. Coi movimenti dei piedi, i gesti delle mani, i sorrisi, con l’ammiccare delle sopracciglia, i piegamenti del busto, con gli svolazzi della stoffa che copriva i seni, il dondolio degli orecchini contro le guance, i capelli e le cinture intrecciate, quelle sue amanti, cantando di lui, sfolgoravano come lampi tra le nubi. Anelando il piacere, esse cantavano melodiosamente a gran voce e danzavano, deliziate dal contatto. L’universo intero era pervaso dal loro canto. Sconvolte nei sensi dalla gioia del congiungimento, incapaci di contrastare lo sciogliersi di capelli e vesti, si ritrovarono con gli ornamenti e le ghirlande sparsi ovunque.”

(dal Bhāgavata-purāṇa)

Quel “lui” che alle donne rapisce cuore e sensi, spingendole ad abbandonare case e legittimi mariti, che le incanta replicando se stesso, di ciascuna godendo, è il dio Kṛṣṇa.
Il tripudio sensuale che lo vede coinvolto con le mandriane innamorate, quella danza dell’amore di tutte-con-uno, simboleggia, teologicamente, l’anelito dell’anima a dio, la necessità, ai fini dell’unione, dell’abbandono di tutte le convenzioni, del trascendimento dei vincoli del consorzio umano.
Il devoto finisce dunque per identificarsi con Rādhā, l’eletta del dio, patendo e godendo a un tempo le sofferenze e le gioie del divino amore.
Dramma della lontananza, aculei della gelosia, estasi del congiungimento.
Così fu per Caitanya Mahāprabhu (XVI secolo), il mistico bengalese.
L’identificazione con l’Amata/Amante del dio si spinge, agiograficamente, fino a coinvolgere la fisiologia.
Caitanya diventa la manifestazione incarnata della coppia Kṛṣṇa-Rādhā.

“Giorno e notte, Caitanya manifestava condizioni mentali identiche a quelle di Rādhā: costantemente sconvolto dal sentimento di separazione da Kṛṣṇa. I suoi pori sanguinavano, il corpo s’ingrossava e s’assottigliava a seconda del momento; correva e gridava a squarciagola; sembrava assente, folle e disperato. Lo si sentiva dire: Dov’è il mio signore? Che cosa potrò mai fare ora? A che servono gli occhi che non possono vedere lui, simile alla luna, tesoro di ogni bellezza? Il mio corpo, la mia mente, i miei sensi sono inutili! Come posso vivere senza di lui? Dov’è il mio signore, colui che incanta l’Amore stesso?
Ansia, impotenza, umiltà, collera e impazienza erano come soldati in lotta, e la follia dell’amore divino era la causa di tutto ciò.
Mio amato, tu che attrai a te tutte le donne dell’universo, tu che puoi incantare chiunque, tu non sei che un libertino. Come si può venerarti?
Caitanya sudava, impallidiva, tremava, piangeva, ammutoliva, rideva, gridava, cantava e danzava, perdeva i sensi. Subiva le dieci trasformazioni corporee derivanti dalla separazione: ansia, insonnia, agitazione mentale, debolezza, trascuratezza, sproloquio, infermità, follia, illusione e morte.
Nell’estasi, proclamava: Mio amato! Lascia che descriva le qualità delle tue labbra. Esse sconvolgono la mente e il corpo di chiunque; fomentano il desiderio; fanno dimenticare ogni sapore materiale; vincono la vergogna, la norma e la pazienza, e inducono alla pazzia. Esse attraggono follemente perfino il tuo flauto, che ne beve il nettare, scordandosi ogni altro sapore. Quel flauto è un maschio astuto che non fa che bere il sapore delle labbra di un altro uomo, dicendo alle mandriane: Se siete così orgogliose di esser donne, fatevi avanti e prendetevi ciò che vi appartiene: il nettare delle sue labbra!
Tale nettare, unito alla melodia del tuo flauto allenta le cinture delle donne, e a nulla valgono vergogna e precetti religiosi. Abbandona, dunque, o Kṛṣṇa, le tue astuzie, non attentare alla vita delle mandriane con le note del tuo flauto! Concedi loro, piuttosto, il nettare delle tue labbra!
La fragranza del corpo di Kṛṣṇa è più travolgente di quella del muschio e superiore a quella del loto; penetra nelle narici delle donne e le avvince. Egli agisce come un cacciatore privo di scrupoli per conquistare il cuore delle donne e spezzarlo con i dardi dei suoi sguardi dolci e sorridenti. Le sue belle braccia, come dei neri serpenti, penetrano nello spazio tra le rotondità dei seni e mordono quei cuori, avvelenandoli.

(dal Caitanyacaritāmṛta)

“Caitanya danzò, vestito come una mandriana, adorno di braccialetti e cavigliere. La sua vita era sottile e affascinante e tutto il suo corpo risplendeva di bellezza.
Per consolare i discepoli che non volevano separarsi da lui, Caitanya, sopraffatto dal sentimento materno, offrì loro il seno. Con gioia essi succhiarono come bambini il latte che miracolosamente ne scaturì. Il timore della separazione scomparve.”

(da Caitanyamaṅgala e Caitanyabhāgavata)

Laura Liberale

Senza titolo

In copertina: Kṛṣṇa e Rādhā

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