Terrae Motus

(in copertina Keith Haring per “Terrae Motus”)

Viola Amarelli

La terra dell’osso

A ogni proposta di acquistare case il bisnonno replicava, secco: “ Le pietre cadono”. Memoria geologica, e storica.

La sua non cadde, finimmo lì nella notte. La sedicenne ripeteva un disco rotto: “Sono troppo giovane, troppo per morire”. Lo ricordava alle parche.

Anche mio figlio, che riposava in pancia.

Per le scale, a rotta di collo, la madre con il coltello ancora e sempre poi nella mano – stava tagliando verdure – si mise a riflettere ad alta voce : “ E’ troppo lungo, non è un terremoto, qualcosa su, alla base Nato, è scoppiato”.

Il solaio si spostava, sopra le teste, sul pianerottolo, per un solo microsecondo la certezza che non c’era niente da fare. La quiete. Finis. Giù poi, a rotta di collo.

Parenti, amici conoscenti, la lunga lista di che fine hanno fatto. Qualcuno scomparso.

La macchina sbanda, una ruota, pensa, e frena e scende, nel viale già freddo d’alberi e suoni. La donna gli si getta tra le braccia, urlando. Il padre per calmarla la schiaffeggia. Lei trema ancora, sussurrando terremoto. Lui non se n’era accorto, come sempre di quel che gli accade nella vita.

Sotto l’ospedale, nella collina dei venti, il giovane medico finito sotto le travi ai soccorritori: “Lasciate stare, è tardi, lo so, mi è venuta voglia di cantare”, l’autodiagnosi. Dissanguamento.

La valle in un silenzio incredulo, il giorno dopo. Il medico volontario scende dall’alto, con il bidone e la pompa, calce viva. Rischi di epidemia Carcasse di animali: vacche, pecore, asini, cani. Morti d’infarto. Morti di paura. Gli si stringe il cuore.

Mesi dopo accompagnammo la donna, fredda, austera, una roccia, su un altro colle. Tra le macerie, ce n’erano ancora, andava a colpo sicuro. Per noi era solo polvere e freddo e calcinacci. Muta, nello spiazzo che solo lei sapeva, scoppiò di colpo in un pianto: “Era della cucina, della cucina.” La mattonella, della casa paterna. A lato, in un mucchio.

Non si era capito. Quello era solo l’inizio. Per lunghi anni poi saccheggi e sciacalli, mazzette e corrotti: la gran parte a sbavare, soldi e poi soldi, tanti, pochi, in bocca, al duodeno, dalle orecchie. Ci si vendeva per poco. L’invasione.
Trasferiti, spostati, deviati. Nuove strade. Chalet. Capannoni. Inutili impianti. I vecchi morivano. Di vergogna. In silenzio.

Era la terra dell’osso

.
Lungo la faglia aguzzammo afoni i cuori.


Domenico Cipriano

da “Novembre”

1.
trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie.
è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa, confonde
la terra che affonda ti rende sua onda, presente a ogni lato
soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole
e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte. è fuoco
la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema
riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona.

20.
gli addii sono lunghi da superare, tra le foto
nelle ricorrenze si prova sempre a cercare
un viso, il disegno delle case abbandonate.
tra i viali intrecciati che non hanno segni
vive il calpestio sulla terra sgretolata quando
tutto si strinse sulle case e nuove case
si mescolarono in grigioscuri di cemento.


Vincenzo Frungillo

Ventitre novembre ottanta

Cos’è che a V. interessa
se non che il mondo finisca,
che il mondo scompaia?
È un gioco di bambini,
è così da sempre,
dalla notte dei tempi.

Gli amici sono in giro a scovare nomi,
G. dietro la macchina rossa,
I. nell’androne d’un portone,
O. è tornato a casa, perché s’annoia,
V. nessuno lo trova.
Fissa il sangue raffermo,
sotto una pedana di legno,
è diventata groviera
per le spade che puntano il centro.
Se riuscisse ad estrarne una
avrebbe il suo regno,
ma V. nemmeno ci prova,
pensa che un giorno
sarà impiegato d’ufficio,
un tossico o un camionista,
dal tutto otterrà una parte
che non smetterà di volere tutto,
sarà un uomo adulto,
malinconico come il lavoratore
che inizia il suo turno,
avrà un indice mozzo,
farà del bene per chiedere aiuto,
ricatterà lo spirito,
perché torni indietro, asciutto
come il sesso spruzzato sul muro.
E la ragazza strana
che alleva pulcini sulla terra,
macchie gialle tra tappi di bottiglia,
sarebbe cresciuta, a dismisura,
la ragazza dai colori scuri
conosce la grammatica straniera,
ha un’equazione tra le mani,
inventa soluzioni
con immaginifica precisione,
lei conosce il mistero dei nomi.
Vede il ragazzo nascosto
nel ventre del mondo,
lei avrà il seme di tutti,
tranne il suo.
È novembre sono le
V. aspetta e aspetta,
sente lo schianto d’un corvo
sul rosso marmo del mondo,
esce all’aperto, nessuno lo cerca,
s’è fermate la meccanica oscura.
È domenica sera.

(da “La disarmata”)

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