In “Portarsi avanti con gli addii”, Raffaelli, 2014, la traiettoria poetica di Francesco Tomada chiude un cerchio aperto con le due precedenti raccolte (“L’infanzia vista da qui”, e “A ogni cosa il suo nome”), ricalcando l’archetipo ancestrale della ruota della vita. Le tematiche e i campi di indagine dell’autore friulano giungono, infatti, a chiudersi, ma anche ad approfondirsi nel contatto con l’abbandono tipico dei lutti e con i cambiamenti inesorabili del tempo, nell’andar via di chi ci ha preceduti e nel passaggio di testimone ai figli che crescono. Tutte le sezioni di questo nuovo libro ruotano intorno agli affetti, persi o in procinto di perdersi, eppure resistenti e necessari, in una prospettiva stilistica che si muove per zoomate di dettagli e tagli di profondità, dove, sottaciuto – come spesso accade nella scrittura di Tomada – è il tentativo di definire, o forse meglio, di riaffermare, un senso di dignità e di salvezza tanto più importante quanto più matericamente fondato sulla ontologica fragilità dell’umano. L’esigenza sommessa di un’àncora si palesa ad esempio nel leit-motiv delle radici, declinato verso una conquista del cielo come in “Alberi che crescono veloci” o nel fiorire di una “No man’s land”, ma si coniuga anche alla metafora del vento come nella splendida “Lisbona”, tra i vertici del libro, o nell’anziana che lascia socchiuse le imposte perché “..se deve essere vento/che vento sia”, in una complementarità che segna un lavoro di approfondimento (non a caso la sezione iniziale s’intitola “penso sempre a tante cose”) sul dato fenomenologico per scoprirne composti e vettori.
La parola di Tomada, sempre tersa e chiara, e consapevolmente inserita nella langue quotidiana – si veda, ad esempio, la dichiarazione di poetica consegnata a “la grammatica” – vira in questi testi a un respiro più lungo, con una tensione diegetica che rinvia quasi ad un urgenza prelinguistica, fermo restando il timbro secco e asciutto, rivendicato nella chiacchierata della ragazza sordomuta (è la sola lingua in cui nessuno/nessuno può gridare). Maggiormente frammentato rispetto alle opere precedenti, pur se coeso nelle sezioni che lo strutturano, “Portarsi aventi con gli addii” conferma anche in questa caratteristica l’autenticità del percorso dell’autore friulano. Erede di Saba, e, in talune asciuttezze, di Caproni cui è legato anche dalla profonda inclinazione a un versante materno, la poesia di Tomada si inserisce in un lirismo moderno che trova le sue motivazioni nell’attraversamento nudo del rapporto io/mondo, affrontato a viso aperto, dove sempre irrompe, altissimo, e stupefacente, un soffio di grazia (allora gli angeli esistono davvero/però non riescono a portarci in cielo), perché la vita è una somma algebrica di piccole salvezze.
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testi
La grammatica
Quando i bambini cominciano a parlare
non pronunciano frasi intere
ma singole parole ridicole e imperfette
però palla è palla
gatto è gatto
ed è una cosa imparata che resta per sempre
a me di tutto l’italiano basterebbe poco
soltanto qualche vocabolo, ma da dire con quella sicurezza
come madre padre figlio
e la parola casa come una parentesi che chiude
la parola noi.
Dal medico, in sala d’attesa
La ragazza sordomuta chiacchierava con sua madre
si può dire “chiacchierare” per chi si esprime a gesti?
aveva nella mani la grazia delle adolescenti
mentre i movimenti diventavano parole
io cercavo di intuire il senso o almeno
se c’era un tono di rabbia o quiete o domanda
come nelle nostre voci
i suoi lineamenti non sembravano di qui
“veniamo da Belgrado”
mi ha raccontato dopo la donna
e parlate una lingua più che straniera
per questo non capisco
è la sola lingua in cui nessuno
nessuno può gridare.
IV (da otto polaroid da Campoformido)
Ho visto:
il corpo di una talpa morta sull’asfalto
sui resti quasi decomposti delle orecchie
due farfalle azzurre che battevano le ali
sembravano volessero sollevarla
una bellezza assoluta ma triste
ho pensato:
allora gli angeli esistono davvero
però non riescono a portarci in cielo.