Il grande silenzio della Vucciria

 Musica: Omaggio a Vucciria Guttuso apre stagione Massimo

“Il quadro nero ovvero La Vucciria, il grande silenzio palermitano”. Un titolo dal respiro esistenziale per raccontare ciò che sfugge nella quotidianità, negli inciampi del vivere. Presentata al Teatro Massimo di Palermo, lo scorso 7 febbraio, l’opera per musica e film di Roberto Andò e Marco Betta trae ispirazione dal celebre quadro di Renato Guttuso e dalle suggestioni del racconto “La ripetizione” (Skira editore) di Andrea Camilleri. Dopo la prima palermitana, è ora in cartellone al CRT – Teatro dell’Arte di Milano dal 25 al 27 settembre (http://www.crtmilano.it/project/il-quadro-nero-ovvero-la-vucciria-il-grande-silenzio-palermitanoroberto-ando-marco-betta-andrea-camilleri25-27-09-2015/).

 Sono le parole dello scrittore di Porto Empedocle ad avviare, nel buio, la messa in scena, ispirata dalle sue riflessioni e fantasticherie sui personaggi della tela di Guttuso (custodita allo Steri di Palermo). Subito dopo, sul palcoscenico, gli attori Giulia Andò e Francesco Scianna raccontano con passione la fila intima, segreta, di pensieri e suggestioni che accompagna i due protagonisti del quadro, dipinto nel 1974.

In primo piano il misterioso incrocio di sguardi, solo per un attimo, tra un uomo col maglione giallo e una donna di spalle, tra le persone, la mercanzia (pezzi di animali squartati, il pesce, la frutta, le uova, la verdura), le lampade, i colori e la luce. Così, mentre Tonino Battista dirige l’Orchestra del Teatro Massimo, e Piero Monti il Coro, il teatro e la musica si fondono con il cinema e sullo schermo oscilla in modo suggestivo una lampada. Squarci di visione che si dilatano e offrono gradualmente l’immagine cinematografica del quadro di Guttuso. Un’occasione per indagare su un “grande silenzio” palermitano, e italiano, sull’attimo fugace nel quale si consuma l’istante e viene colto il respiro dell’esistenza. Un attimo nel quale infinito e finitezza si incontrano, prima che ogni frammento del vivere si perda e tutto ricominci.

Nata su commissione degli Archivi Guttuso di Roma e della Fondazione Teatro Massimo di Palermo, l’opera si avvale delle scenografie di Gianni Carluccio (presenza costante nei lavori di Andò), il quale firma anche i costumi assieme a Daniela Cernigliaro e la fotografia con Roberto Barbierato, del suono di Hubert Westkemper e del montaggio di Vertov Milano. In armonia con la partitura di Marco Betta, sublime nel suo essere delicata e ossessiva al tempo stesso, con le sue infinite e sottili variazioni, il piccolo film di Roberto Andò ricrea sullo schermo “La Vucciria” in una scena attraversata da elementi dinamici e statici. Elementi antitetici che trovano una sorprendente armonia, tesa a interrogare nel profondo lo spettatore. Dunque, che cosa racconta quest’opera? Il quadro di Guttuso rivive nelle variazioni cromatiche dal grigio al colore e nel continuo passaggio di uomini e donne, di venditori e acquirenti, di colori, suoni, mondi che si incontrano e si abbandonano, in una lentezza (un infinito ralenti) che accresce il mistero e lascia spazio alle domande di chi guarda, agli interrogativi sul senso delle cose attraversate, appena percepite e poi perdute per sempre.

In questo scenario simbolico e reale, Andò e Betta offrono visioni e sonorità scandite da un respiro interiore, in una staticità che si apre al movimento in modo non scontato, senza troncare la profondità del pensiero. A catturare l’attenzione è l’avvicinarsi fra i due personaggi della tela come simbolo universale di un incontro che scandisce ogni vita, ogni possibile istante. In particolare, il video descrive due incontri alternativi fra l’uomo (Francesco Scianna) e la donna (Giulia Andò), mentre attorno il mistero di presenze (come fantasmi di un sogno capace di invadere la quotidianità) che affollano e poi abbandonano la scena non cessa di alimentare l’immaginario dello spettatore. Fantasmi sullo schermo, uomini e donne, impersonati da Ettore Calvaruso, Patrizia D’Antona, Shain Farouzi, Paolo Federico, Oriana Guarino, Renato Lenzi, Onofrio Nuccio, Daniela Pupella, Salvatore Tarantino e Fulvio Tortorici.

Lui e lei, intanto, si sfiorano, carichi di desiderio. L’uomo soccorre la donna, appena svenuta. Il voltarsi di lui è funzionale all’intuire ciò che anima nell’intimità l’altra figura. Si svela una mancanza che porta alla debolezza, allo svenimento improvviso di lei. Oppure, ed è la seconda variante, qualcosa si frappone fra i loro sguardi, il meccanismo narrativo si inceppa e si racconta, in realtà, un mancato incontro.

Nell’interpretare la natura morta dipinta da Guttuso, tra oggetti inanimati che a volte sembrano più vivi degli stessi esseri umani, Roberto Andò si confronta con l’idea del tempo e della morte, tra la vertigine del possibile scambio di sguardi e l’enigma della comunicazione silenziosa tra elementi in transito. In transito come i passanti nel mercato. Lo stesso regista ha sottolineato l’importanza del punto di vista espresso da Cesare Brandi: “Il quadro è tenuto insieme, come una musica dalla tonalità, da quel nero di fondo e visibile solo nei contorni”.

Di conseguenza, nelle sue quasi impercettibili (eppure così incisive, in linea con un’evoluzione interiore) variazioni visive, di colori e sfumature, l’opera presentata al Teatro Massimo esalta questo “quadro nero”, come amava ripetere lo stesso pittore di Bagheria, ovvero dipinto sopra un fondo nero. Da qui la possibilità di cogliere, tra le pieghe, gli elementi di distruttività insiti in un luogo per eccellenza dell’abbondanza, come il mercato, in un connubio di vita e di morte. Non a caso, Andò, come ha scritto nel libretto di presentazione, si è pure ispirato al giudizio dello scrittore Goffredo Parisi: “Nessun altro quadro di Guttuso come la Vucciria ha mai espresso con tanta intensità il sentimento profondo del Paese”. Ecco la domanda segreta che il regista palermitano mette in scena, in equilibrio con la musica: “Quando la Sicilia, l’Italia intera, sono diventate una grande natura morta?”.

A rafforzare la suggestione dello spettacolo è l’intesa non occasionale fra il regista Andò e il musicista e compositore Betta. Un’intesa consolidata in opere come “Sette storie per lasciare il mondo”  (nel 2006 e ripresa nel 2013) e nei film “Il manoscritto del principe”, “Viaggio segreto” e “Viva la libertà”. Film nei quali la colonna sonora è in felice simbiosi con il linguaggio cinematografico, in un’indagine serrata sulle pulsioni profonde che animano uomini e donne, preda dell’inconscio. Un silenzio esistenziale al quale Roberto Andò dedica la sua avventura artistica, dal cinema al teatro.

Marco Olivieri

 

 

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