L’Attesa – un film da Oscar

stasera su SKY canale 314 dalle 21.00

di natàlia castaldi

My heart is beating in a different way
been gone such a long time and I feel the same
my heart is beating in a different way
been gone such a long time

Will you miss me?
When there’s nothing to see?
Tell me, how did this come to be?
And now there’s no hope for you and me

(da Missing, The XX)

Con questi versi cantati su una base da cardiopalmo si apre L’Attesa, prima prova nel lungometraggio per il siciliano Piero Messina che dirige un’intensa Juliette Binoche e la giovanissima Lou de Laâge. Un film “terrific” direbbero gli inglesi, perché nella radice di terrore e sgomento propria all’aggettivo, si aprono e si snodano la delicatezza, la drammaticità, la lentezza e la passione che l’elaborazione di un abbandono e di un’assenza sono capaci di scatenare nell’intimo, ancestrale e irrazionale femminile.

Ponendo allo specchio due donne: da un lato la Mater Dolorosa e dall’altro l’amante abbandonata, Messina opera una presa diretta, lenta e ricca di sfumature che, nel corso del film, ci porrà di fronte alla metabolizzazione dell’assenza, alla presa di coscienza del lutto.

Non mi soffermo a parlare della trama, di per sé essenziale e comprensibile sin dal principio del film, perché sarebbe ingrato e depauperizzante sintetizzare gli eventi narrati da questa pellicola a un fatto, un lutto, un accadimento che, al contrario, costituiscono un’opera che all’essenzialità di fatti ed eventi oppone un’opulenza di sensazioni, simboli, luci ed ombre, sogni, emozioni, reazioni …, tale da meritare il “supplizio” di una visione del film ripetuta più e più volte.

Sullo sfondo una Sicilia baronale, scura e angusta, borbonica e moderna, in cui tradizione e passato ben convivono con le generazioni che si susseguono e che sembrano accettare il fardello di questa terra oscura senza ripudiarla, assorbendo tutta la vitalità del proprio tempo, della musica, delle mode e tendenze che riguardano il mondo che sta oltre il confine del mare che la circonda, che la fa isola.

L’immagine della Settima Santa “impacchettata” a bordo di una “lambretta” all’inizio del film, appare come una visione di stupore e terrore dentro lo sguardo della giovane Jeanne durante la salita delle pendici nere dell’Etna, svelando sin dal principio tutto l’incanto di sacro e profano, violento e delicato, osceno e viscerale ci possa essere nel rapporto ancestrale della terra-madre con i suoi abitanti, della Mater Dolorosa con l’incombente peso del mistero della Passione del Figlio.

L’innocenza, la freschezza, la necessità che la vita continui oltre la separazione, la cesura, la perdita, viene qui incarnata da Lou de Laâge, giovane interprete di una bellezza poco più che adolescenziale, i cui colori sembrano fondersi con la meraviglia dell’acqua, del lago di montagna, elemento fisico e mistero onirico ricorrente, che l’elaborazione dell’inconscio della giovane lancia a se stessa come presagio d’assenza.

La figura della madre addolorata non può non richiamare alla memoria la prova della bravissima Min-soo Cho nella recente Pietà di Kim Ki-duk, tuttavia eventi e reazioni ne L’Attesa sono completamente diversi, mancano elementi come la vendetta, la rabbia, l’odio, manca il capro espiatorio, una causa o un perché cui addossare la colpa per sopravvivere al dolore della perdita nell’architettura crudele della vendetta.

La compostezza della Binoche – che sembra cedere solo nella toccante scena in cui Anna si contorce in uno straziante abbraccio al materassino che, sgonfiandosi, le rilascia il fiato del figlio sulle labbra -, al contrario, costruisce nella crudeltà dell’inganno una via di fuga dalla realtà inaccettabile dell’inesistenza, della morte, ancorando nella speranza di vita rappresentata dalla giovane amante del figlio, una possibile via di continuazione, stabilendo con essa una relazione, un legame di empatia e intimità tutta femminile che mantenga presente e vivo il figlio, sia pure nell’illusione di una menzogna, nell’attesa della giovane Jeanne e nel suo desiderio.

L’Attesa è un film di una delicatezza angosciante, che ti rimane addosso e ti costringe a rimeditare e rielaborare fotografia, dialoghi, ambientazioni, sguardi, elementi simbolici, con la consapevolezza e nello stesso tempo l’indisposizione, di trovarsi davanti al dilemma della perdita con cui, prima o poi, tutti siamo tenuti a fare i conti.

Scritto da Giacomo Bendotti, Ilaria Macchia, Andrea Paolo Massara e Piero Messina, con la fotografia di Francesco Di Giacomo, L’Attesa si distingue nel panorama cinematografico portando sul grande schermo elementi del non-detto e non-scritto con la folgorazione intima del sofferto e del vissuto. Fotografia, interpretazioni e regia sono semplicemente da Oscar.

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