Consonanze e dissonanze di Lorenzo Mari – Europa come dialogo (im)possibile e danza cannibale. Roberto Carifi e Miguel Ángel García Arguëz

CONSONANZE E DISSONANZE

Europa come dialogo (im)possibile e danza cannibale. Roberto Carifi e Miguel Ángel García Arguëz

C’centr u material u material, è la form d’u contenitor:
se nn ssacj che form ten cum’le a fa cerca… o non cred’?

LaCapaGira (1999) di Alessandro Piva

L’orecchio del traduttore è per sua natura e costituzione – oppure: sostituzione, prostituzione, etc. – un organo maldestro, portato a realizzare in serie le proprie lievi inefficacie, che solo talvolta sono produttive: sta tra le lingue e ne cerca un’altra, forse antica, forse nuovissima. Gli capita, anche, di non fermarsi al piano della ricerca linguistica, dove la lingua è talora idolo, talora feticcio, ma di creare ponti tra sistemi letterari e culturali: ponti che non sono neanche strettamente intertestuali, ma vivono di vita propria e schiudono una serie di vie – alla lettura, alla traduzione, alla scrittura stessa. Con inevitabile paradosso, questo lo si deve con maggior frequenza alla traduzione di poesia, tradizionalmente considerata come arte impossibile, eppure anche, semplicemente, una bassissima tecnica, produttrice di tante e tali versioni (e nuovi testi) da dare capogiro.
In effetti, è proprio la capa che gira, quando, traducendo Danza Caníbal #6 di Miguel Ángel García Argüez insieme a Luca Salvi e Alessandro Drenaggi per Canto e demolizione. Otto poeti spagnoli contemporanei (Thauma, 2013), abbiamo visto nascere un legame forte, in principio a carattere esclusivamente fono-sintattico, con un testo molto lontano, e che Argüez, con ogni probabilità, non conosceva al momento della stesura come L’Europa (Jaca Book, 1999) di Roberto Carifi.
Si prendano gli attacchi, così simili, nell’oscillazione tra vocativo e seconda persona singolare, da un lato, e terza persona singolare, dall’altro; nominazione primigenia e oggettivazione reificante del nome; intrecci di sostantivi che continuamente presuppongo e sfiorano l’associazione ossimorica… Più sotto, riportiamo integralmente il testo di Miguel García Argüez, mentre qui ricordamo Carifi:

Ma tu l’Europa
tramonti con gelido sguardo
sei carne e macello
ragazzi ti bruciano in petto
si amano per quanto stranieri
sei terra lasciata morire
nel gorgo dell’acqua
ti piangono addosso
capelli di cenere
sei anima senza ritorno
nell’occhio scagliato contro la terra
il tuo sole si spegne
nella bocca ferita delle tue sentinelle
nel gravido sonno
della cagna guardiana…

Poi, inevitabilmente, i testi prendono strade diverse, asintotiche.
Per Carifi l’Europa è luogo canonico del secolo breve – si veda la sezione conclusiva della raccolta, La vita nuda: voci da Auschwitz – e, al tempo stesso, “luogo dell’anima” – come il poeta ebbe a titolare una conferenza tenuta a Pistoia nel 2002. Nel testo, si fa largo un’interrogazione pressante, intermedia tra la dimensione fisica e quella metafisica, che è la posizione propria, nella scrittura di Carifi, della parola ontologicamente esule. La scrittura resta eternamente sospesa tra una domanda e un’attesa, come ha rilevato benissimo Mauro Germani, che vanno scientemente aldilà della consistenza semantico-ideologica dell’interlocutrice-Europa.
Diversa è l’evoluzione della poesia di Argüez, che è qui il caso di ricordare, perché, oltre a Canto e demolizione, la sua poesia non ha ancora trovato una giusta cassa di risonanza, traduttiva e critica, in Italia.
Europa è il vero e proprio centro gravitazionale presupposto e poi scardinato, in chiusura, dalla quinta delle “danze cannibali” presenti nel suo libro del 2012, Danza caníbal (ed. Germanía, Valencia). Come dimostra il titolo programmatico, quella di Argüez è innanzitutto una ricerca ibrida di genere, che recupera la tradizione letteraria medievale della danse macabre o, in accezione castigliana – perché è nella penisola iberica che questa linea ha una presa particolare, fino, almeno, alla Vida es Sueño di Calderón de la Barca – de la danza de la muerte.
Qui non è, però, la Signora con la Falce medievale a dominare la scena, in un senso che sarebbe anche qui certamente metafisico, bensì una particolare inclinazione mortifera del neoliberismo globale, ovvero, appunto, l’Europa, che non si può più considerare più soltanto come koiné culturale, o come sineddoche dell’identità, ma che si immagina in primo luogo come incarnazione e veicolo della voracità assassina del capitale finanziario.
Tra molti endecasillabi e alessandrini – segno di una musicalità che l’autore riprende dal suo progetto parallelo, ARWEZ – il testo procede mescolando un automatismo soltanto apparente, e al tempo stesso gravido di connotazioni surrealiste, con un piglio analitico che si fa sempre più netto.
In chiusura, arriva lo sconvolgimento portato dalla rivolta: anche qui, a prima vista, potrebbe sembrare un gesto esclusivamente individuale e volontaristico, ma il poeta, decidendo di tacere, non si pone narcisisticamente fuori dal sistema che ormai stritola persone, famiglie e aggregazioni sociali. Scegliendo esplicitamente il silenzio alla fine del testo, il suo è un ritorno in seno alla propria collettività, che ci si può immaginare anch’essa rivoltosa. Tuttavia, questo certo non può avvenire prima di aver prefigurato negli icastici versi finali quel piano sempiterno, quell’orizzonte utopico che può trasformare la rivolta in rivoluzione.

Danza caníbal #6

Europa ven y quítate ese traje
Tu capa de sangrienta pedrería
Tu corona y tus sucios coloretes

Tu túnica tus botas tu asquerosa
Corbata de billetes y crustáceos
Tus diademas rellenas de gasoil

Europa apunta con sus catalejos
Y sólo ve los restos de una fiesta
De espejitos y charcos y cadáveres

Europa recogió su enorme cola
De animal imaginario y es europa
Un virus un fusil y una barraca

Europa es un hipódromo vacío
Se ducha se perfuma y sigue oliendo
A estiércol a dinero y a desahucio

Europa brinda con el vaticano
Sacude sus banderas hierve su agua
Luego cambia sus fichas por dinero

Europa siempre es barro y siempre es leche
Europa siempre es hierro y siempre es óxido
Europa siempre es macho y nunca es hembra

Europa es carnicero y descuartiza
Un cordero pequeño de plutonio
Mientras limpia su faca en el atlántico

Es un pez que visita el hospital
Es un triángulo lleno de estadísticas
Es un sapo croándole a un avión

Es un muermo es mi pan es una daga
Una fiera sin dientes una arteria
Por donde apenas fluye la memoria

Europa es una iglesia bocabajo
Un enano con culo de gigante
Un pastel que se enfría en la basura

Es un globo de piedra es una ráfaga
De ventisca en el ulster y una rata
Con tres ojos que gime en estambul

El mar muerto le asusta y su lenguaje
Le suena a copla antigua a estalactita
Por eso mira al cielo y no responde

Europa no es europa es un hexágono
Un tumor una almena un perro sucio
Europa es la basura de otra europa

No quiero ser europa ni que europa
Me reclame me lama ni me anude

No quiero ser europa ni poeta

Y aquí cierro mi boca y ya me callo:

No quiero ser europa si no he sido
Oveja que degüella a su pastor.

*

Danza cannibale #6

Vieni, europa, e togliti quel vestito
La tua cappa di gemme sanguinanti
La tua corona e i tuoi sporchi fard

La tua tunica i tuoi stivali la tua schifosa
Cravatta di banconote e crostacei
I tuoi diademi ripieni di gasolio

L’europa punta con i suoi cannocchiali
E vede solo quel che resta di una festa
Di specchietti e pozze e cadaveri

L’europa ha raccolto la sua enorme coda
Di animale immaginario ed è l’europa
Un virus un fucile e una baracca

L’europa è un ippodromo vuoto
Si fa la doccia si profuma e continua a odorare
Di sterco di soldi e di sfratto

L’europa brinda con il vaticano
Agita le sue bandiere gli scalda l’acqua
Poi cambia le sue fiches con i soldi

L’europa è sempre fango ed è sempre latte
L’europa è sempre ferro ed è sempre ruggine
L’europa è sempre maschio e non è mai femmina

L’europa è un macellaio e squarta
Un piccolo agnello di plutonio
Mentre pulisce il suo pugnale nell’atlantico

È un pesce che visita l’ospedale
È un triangolo pieno di statistiche
È un rospo che gracida a un aereo

Il mio pane è una daga
Una fiera senza denti un’arteria
Ove a malapena fluisce la memoria

L’europa è una chiesa pancia a terra
Un nano con il culo di un gigante
Un dolce che si raffredda nella spazzatura

È una sfera di pietra è una raffica
Di forte vento nell’ulster e un topo
Con tre occhi che geme a istanbul

Il mar morto la spaventa e il suo linguaggio
Le sembra una vecchia canzone una stalattite
Per questo guarda il cielo e non risponde

L’europa non è l’europa è un esagono
Un tumore un merlo un cane sporco
L’europa è l’immondizia di un’altra europa

Non voglio essere europa e nemmeno che l’europa
Mi reclami mi lecchi e mi stringa

Non voglio essere europa né poeta

E qui chiudo la bocca e ora taccio:

Non voglio essere l’europa se non sono stato
Pecora che sgozza il suo pastore.

Lorenzo Mari


 


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Miguel Ángel García Argüez

Blog dell’autore: www.cambiodeagujas.blogspot.com

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