di Vincenzo Giarmoleo
Da avvocato, ma ancor prima da uomo che continua, senza redenzione né remissione, a rivendicare un minimo spazio di autonomia per provare a far muovere la propria di libertà di pensiero, rifuggo dalla tentazione aberrante, ma sempre più diffusa, di ridurre ogni articolazione di pensiero critico a computo di diritti e doveri, formulazione di regole e di gerarchie, generazione di cause ed effetti, risoluzione di dispute tra coloro che sostengono un interesse assunto come dominante, e quegli altri che difendono l’interesse opposto e confliggente, assunto come servente. Insomma, alla giuridicizzazione della vita e di ogni aspetto dell’esistenza.
Questa nostra epoca dei social media, apparentemente svuotata di ogni ideologia, fa sì che ciò che fermamente si nega, come il pensiero ideologico, riemerga con prepotenza sotto forma di pensiero dominante e di condotta politicamente, socialmente – e a questo punto moralmente – ortodossa, strisciante etichetta post borghese (n/et/iquette) in grado di produrre cieca e silente assuefazione ma ancor più avversione, o più spesso violenta invettiva, nei confronti di ogni pronunzia o verbo dissidente, a prescindere dall’articolazione del pensiero, dall’autorevolezza del suo autore, dalla ragionevolezza, dall’adeguatezza al contesto e pure, talvolta, dall’umanità delle conclusioni tratte.
La ragione senza emozione e quella fintamente empatica, che giustificano ogni aggressione, hanno ridotto il secolo scorso, forse il peggiore della storia umana, a una mera successione di nefandezze e aberrazioni delittuose, prima nel pensiero e poi nell’azione. Il crimine di guerra – esempio di giuridicizzazione dell’antigiuridico o del pre-giuridico che sta a fondamento di ogni diritto, che è la guerra vinta, portatrice di nuovi accordi di convivenza sociale, e non la pace senza difesa, da sempre schiava dei forti – ne è il prodotto esemplare perché auto assolvente e ipocritamente offerto come panacea a vinti e vincitori (per svuotare dal senso di colpa collettivo, i primi e per esimere dal dovere di fare i conti con clemenza e perdono e dal dovere di tentare la paziente ricostruzione dei rapporti tra i popoli, sulla base di consapevoli reciprocità, i secondi).
La condanna al giogo che ne deriva non è neppure più (politicamente ed ideologicamente) giustificata dal dio mercato, dal dio profitto, dal dio classe o dal dio razza. È sentenza inappellabile e insindacabile di una élite di comando, sedicente morale, che assume insieme funzioni di governo e di giudizio, in barba alla separazione dei poteri, e che non ammette contraddittorio, pena la reiezione dal modello umano scelto e l’allontanamento dal pubblico palcoscenico. È una perpetua Norimberga, ma senza più vinti e vincitori, criminali e vittime, in un caotico gioco delle parti, scambio di ruoli, casuale via vai di personaggi in cerca d’autore, comparse, protagonisti, rappresentazioni senza più trame, senza testa e senza coda. Un siffatto mostro, da dove lo afferri?
La frammentazione degli interessi e la coagulazione dei microinteressi a sfavore dei macro gruppi, delle macro-idee e dei macro sistemi, ha generato un processo di disarticolazione e di parcellizzazione del senso del bene collettivo, del bene comune, persino del bene patrio (in quanto appartenente ai padri e ai figli), sino a ridurlo a una dilatazione dell’io di ognuno: il fine del gruppo diventa il fine del singolo, dilatato in modo ipertrofico e svuotato di contenuto, di appartenenza, di comunanza e infine, anche di umanità.
Tutto quanto, ogni evento delittuoso e luttuoso per l’uomo, tutto ciò che offende la vita la natura e dunque il comune e l’appartenente a tutti, come la terra e lo spirito umano, sembra essere, in effetti, avallato dalla moltitudine umana non pensante (e ancor più da quella sedicente pensante), avvinta e sedotta dall’assurda e infondata convinzione dell’ineluttabilità di ogni accadimento, della cronaca e della storia, senza che questo magmatico, falso movimento di pensiero generato dalle umane storie e dagli umani giudizi, così ben filtrato da mass media e social media, possa avere un contenimento o un indirizzo, e qualora lo possa avere, senza che la sua guida possa esser concepita e realizzata altrimenti che in termini di oppressione, di controllo delle menti e delle azioni, generando un processo di remissione dei popoli e dei loro falsi rappresentanti o sovrani, così come dei loro tribuni e retori, fintamente in opposizione.
Vincenzo Giarmoleo, nato a Reggio Calabria nel 1968, vive a Roma. Avvocato, studioso, docente e formatore in materia di diritto delle organizzazioni non profit. Scrive su VITA, rivista specializzata del terzo settore, e pubblica articoli di costume e società su blog e riviste online.