Marina I. Cvetaeva – Poesie – I classici Feltrinelli

Marina Cvetaeva
Marina Cvetaeva

I versi crescono come le stelle e come le rose,
come la bellezza – inutile in famiglia.
E, alle corone e alle apoteosi –
solo una risposta: “Di dove questo mi viene?”

Noi dormiamo, ed ecco, oltre le lastre di pietra,
il celeste ospite, in quattro petali.
Mondo, cerca di capire! Il poeta – nel sonno – scopre
la legge della stella e la formula del fiore.

(14 agosto 1918)
*

La spensieratezza è un caro peccato,
caro compagno di strada e nemico mio caro!
Tu negli occhi m’hai spruzzato il riso
e la mazurca mi hai spruzzato nelle vene.
Poiché mi hai insegnato a non serbare l’anello,
con chiunque la vita mi sposasse.
A cominciare alla ventura – dalla fine,
e a finire – ancor prima di cominciare.
A essere come uno stelo, ad essere come l’acciaio.
Nella vita, in cui così poco possiamo,
a curare la tristezza con la cioccolata
e a ridere in faccia ai passanti.

(1918)
*

All’Achmatova

Non puoi restare indietro. Io sono il galeotto.
Tu sei la scorta. Un solo destino.
E un comune foglio di via ci è dato
nel vuoto senza contenuto.

La mia indole è tranquilla!
Ma sono chiari i miei occhi!
Lasciami dunque, mia scorta,
fare due passi fino a quel pino!

(26 giugno 1916)
*

Un bianco sole e basse, basse nubi,
lungo gli orti – dietro il muro bianco – un cimitero.
E sulla sabbia file di spauracchi di paglia
sotto le traverse a statura d’uomo.

E, penzolandomi oltre i paletti dello steccato,
vedo: strade, alberi, soldati sbandati.
Una vecchia contadina, cosparso di sale grosso
mastica e mastica un tozzo di pane nero…

Come hanno potuto incollerirci queste nere capanne,
Signore! e perché a tanti mitragliare il petto?
Passa un treno e ulula, e si mettono a ululare i soldati,
e leva polvere, leva polvere la strada che indietreggia…

  • No, Morire! Meglio non essere mai nati,
    che questo lamentoso, penoso, carcerario ululato
    per le belle dalle nere ciglia. – Ah, e pure cantano
    adesso i soldati!? Oh, Signore, Dio mio!

(3 luglio 1916)
*

Un mondiale nomadismo è cominciato nel buio:
sono gli alberi che vagano sulla terra notturna.
Sono i grappoli che fermentano in vino dorato,
sono le stelle che di casa in casa peregrinano,
sono i fiumi che il cammino cominciano a ritroso!
E io ho voglia di venire da te sul petto – a dormire.

(14 gennaio 1917)


traduzioni a cura di Pietro A. Zveteremich
(Marina I. Cvetaeva – Poesie – I classici Feltrinelli)

4 pensieri su “Marina I. Cvetaeva – Poesie – I classici Feltrinelli

  1. «La verità è che bisognava saperla leggere con attenzione. Quando lo feci, restai senza respiro per quell’abisso di purezza e di forza che mi spalancava davanti. La Cvetaeva prima maniera era precisamente ciò che avrebbero voluto essere, e non furono, tutti gli altri simbolisti presi insieme… Subito mi conquistò la violenta liricità della forma, vissuta intimamente, non fioca e esile, ma potentemente stringata e concisa, non col fiato grosso a ogni verso, ma capace d’abbracciare, senza mai interrompere il ritmo, con un periodare ampio e solenne, intere serie di strofe. Scoprii in queste caratteristiche una sorte d’affinità tra me e lei…»
    (Boris Pasternak)

  2. Sto lavorando su “Visione Postuma” di Nadia Campana (Raffaelli 2014). Un saggio è dedicato a Marina Cvetaeva. Del suo rapporto con Cvetaeva dice: «Marina mi prende troppo, e mi fa un po’ paura. Questo perché, se non si è un po’ distaccati, si rischia di balbettare. Spero che questa paura non sia troppo grande» (nota di p. 11).
    Vi segnalo anche che oggi su LE PAROLE E LE COSE sono uscite alcune poesie di Nadia Campana (http://www.leparoleelecose.it/?p=16226 ). Un saluto.