Le parole che vennero dopo – poema

qui non ci sono vincitori: solo
vinti, morti e perdenti, agnellini –
strazio e sacrificio d’innocenti

a Vittorio Arrigoni e Rachel Corrie

 


Hannah: “

(rewind me)

Il boato ha lacerato le pupille immediato
il sentire non ha lasciato tempo alla vista
un frammento di coscienza
permane |un istante |oltre
poi niente
_____________ brandelli sul selciato

*

Guardavo il mio corpo lacerato
le scommesse delle mosche
la corsa alle lenzuola bianche
Non si può guardare a lungo l’orrore
– rimuovere ] rimuovere in fretta i resti
Serve la calce

*

Si accalcavano con scarponi grigi
Le facce spente
Qualcuno piangeva, un altro vomitava
Quante grida la tragedia che viene dopo

*

Hanno ricomposto il braccio destro
il vestito bianco quello delle
nozze di Yehosheva Avevo
una foto e sorridevo Zeev
danzava ubriaco

*

Avrei dovuto consegnare le scarpe al calzolaio
In tutto questo frastuono non trovo più il mio pacco
Edna avrà il saggio tra una settimana
Come farà Zeev senza le scarpe per il vestito buono

*

Quando ci riunivamo al venerdì sera
c’era sempre un gran guardare tra noi donne
la moda occidentale s’imponeva
a quel senso di ritrosia
nel mostrare |del tutto |le mie forme
A volte un incrocio di sguardi sulla
scollatura svelava un sorriso
d’approvazione. Dopo cena si andava
a danzare, portavo uno scialle
con me, con pudore

*

Quando la fisarmonica partiva
era tutto un coro di voci che avvolgeva
__________________Hevenu shalom -shalom -shalom aleichem
i ricordi da bambina in fondo alla sala
la fila di sedie poggiate alla parete.
Mamma volteggiava, Dio sa com’era bella.
Nel suo vestitofelice |aveva ricamato
l’orlo |con l’azzurro |della vittoria

“ho conquistato [cantava –
la pace e una promessa Anche il mare,
qui, tramonta d’arance”

*

Gli occhi avevano l’azzurro delle terre alte di suo padre
i capelli crespi delle traversie nomadi della madre
c’erano tracce di popoli in ogni difetto
che aveva imparato a evidenziare:
caratteristica e pregio – diceva,
marcando il profilo delle labbra
sottile].

Il naso dicevano avesse la curvatura
della bisnonna per metà italiana e in parte greca,
l’incarnato, invece, tradiva la trasparenza
delle vene nel suo accento tedesco

*

barchuni l’shalom
malachei ashalom
malachei elyon

*

[le foto di Ari e Rav Salanter
in bella mostra | lì sulla credenza mi sgomentano
come fossi in parte derubata della mia identità
puramente umana e familiare]

*

Yehosheva aveva la luna sul Collo
sospesa tra la Notte e due Orbite
di stelle, Sogni Proiezioni o solo
Desideri apparentemente Reali:
una Pace che sapesse di Pane
e Terra da calpestare, un Braciere
acceso d’inverno Quando l’Albero
si Spoglia e le rondini Non Aiutano
a sperare Primavere e raccolti
Propizi per le Labbra.

*

Una ciocca di capelli e nastro color sangue
era quanto di macabro restasse
sottovetro alla parete dei cimeli
di un tempo da non nominare

*

Senza nome non si può pronunciare
il corso dell’orrore La solitudine
dei vuoti recintati Tra le Ossa
di una Grancassa di presenze
all_armanti come la dilagante
assenza di coscienza.

*

Supine le stelle osservano il corpo
sospeso tra l’inutile e il rancore
della corsa ad ostacoli del male
mentre il bene si asciuga al sole di uno
sguardo la pietà senza rimorso
né memoria.


Edna

[Non era solo una questione di geometria necessaria al corpo, ma una ragionata febbre di vita. L’unica strada per andare lontano. Liberarsi dalle ossa, dalla storia della casa, dagli affetti, dai fantasmi, forse. Edna lo sapeva, aveva sepolto il nostro dio quello stesso aprile senza le cerimonie dedicate alle mie spoglie. Un giorno stringendo le scarpette annodò le dita al mio pensiero. Strinse e strinse così forte che mi sembrò di soffocare. La sua voglia era sangue che pulsava con tutta la rabbia necessaria per sognare.
Le passò in bocca un intenso sapore di sangue, l’interno delle labbra morsicchiato nervosamente.
La sala d’attesa per l’audizione era un inferno di ansia, risa, chiacchierii isterici e lunghe prove sulle punte. Edna a piedi scalzi stringeva le scarpette, non ho mai capito se le stesse maledicendo, pregando o uccidendo tra le dita, un po’ tutt’e tre le cose, mi sono sempre detta, sì, un po’ tutte e tre le cose, forse. Ha atteso l’ultimo istante per indossarle rendendomi complice della sua rabbia. Partirà il mese prossimo: questa terra promessa non è più nostra. La terra non è nostra, la terra non ci appartiene.

Siamo illusione d’una parentesi di passaggio
in un tempo che comprendiamo
per possesso e definizione.]

*

il nemico invisibile – dialoghi dell’illogico –

*

il punto è cominciare da qualcosa
la stasi segna l’abnegazione
dell’arto all’azione La misura
corretta della forma che si adagia
fai conto che una sedia al centro della
stanza poi due occhi che spartiscono
lo sguardo tra lo scarto e la domanda
la curvatura è già attesa arco
tensione quadratura che si piega
ragione pressoché intatta sospesa
che dal corpo pre tende risposta

perché del corpo si son dette mille
cose ma non è certa la ragione
del silenzio la stasi vegetativa
prima del consenso la miriade
di blocchi neuro irrazionali
che invadono le pareti ornamentali

dunque si è cantata la carne la passione
la posizione ideale lo scarico
la forma mai la paura del passo
la paralisi il cinema muto
quando galvanizza l’attenzione
su un arto che ripete
la neurogenesi dell’azione
senza averne coscienza né comando

allora

si dovrebbe cominciare sempre
da qualcosa dal punto di rottura
tra pensiero e conduzione quando
l’ordine si spezza nella leva
che àncora l’azione alle ginocchia

un’involuzione ordinaria della
volontà al comando l’esimia
prostrazione
dell’essere al peso del suo corpo

– “cerco una freddezza lucida che lacera”

mi spiego nelle pieghe dietro le
ginocchia che tendono i polpacci
sollevo le punte:

-“ somiglierò lontanamente a una ballerina?”

[leggera – come se fosse, si potesse
dispiegare alluci come ali]

  • bentornato” – nel frattempo diceva
    del suo volo mentre da dietro la finestra
    si levava l’imbrunire -“ forse
    l’inizio non è altro che la fine
    quella volontà di premere fino
    a uccidersi di luce”

“- hai mai pensato alla volontà del cielo?”

non si ferma, si rispecchia eterna
nell’ellisse come volta si allarga
movimento senza tregua:

non cerca, non chiede, si ripete

[maledettamente ricopro centimetri
di pelle al sudore ometto la concessione
dell’odore rinchiudo il ciclo in ali
di cotone metto il punto ad ogni
giro naturale del mio pelo
decoloro]

Dove si incunea, dunque, l’osceno?
saranno le cosce l’umido il desiderio?
o quel malato puntellare

– “così non si può, così non si deve”

come se bene o male non fosse vera
ogni cosa ci appartenga nel buio
di pensieri immacolati


L’altra sera Fadwa mi diceva
quanto fosse feroce la memoria
(a ritroso)

Fadwa: “

Si dice che nel nome risieda
il senso dell’esistenza, in effetti
la parola la spiega, le dà senso,
l’organizza, ne mette in relazione
cause, conseguenze, eventi:
Restituisce memoria alla storia

Ho sempre ripensato a quei limoni
La staccionata La scala a pioli
Il padre arrampicato che chiamava
i nostri nomi Mentre la veste
di bambina | aperta | Raccoglieva
il salto Il volo del frutto nel Grembo
e una risata

Era bello pronunziarne la parola
darle dimensione e colore [: in arrivo
Limoni, gialli e grossi Li_mo_ni]
e osservare sul viso di Fa’ez
la smorfia Gli occhi stretti La lingua
serrata contro i denti | Percepire
l’anticipazione del senso e dell’azione

[una mano, il coltello, poi le labbra,
Un sorriso Il capriccio L’attesa]

legandone il gusto a un altro sapore
alla liquidità della sete,
all’asprezza del sale

Credo che questo sia da leggersi
come una magia, forse un dono,
una capacità propria dell’uomo
che si costruisce la vita come
i versi di un poema o la pagina
più bella del Corano
con la libertà incondizionata
di fantasia e pensiero

Ecco perché non ho mai accettato
questo nome che nel sacrificio
ha preteso una condanna Senza
margine di scarto per l’arbitrio
della mia libera scelta

[…]

6 pensieri su “Le parole che vennero dopo – poema

  1. Versi intensi, ricchi di pathos, di una scrittura duttile e pluristilistica; versi che a volte accerchiano e stringono, a volte incantano, a volte pongono domande sottili come lame nuove. E una vena attualissima densa di dettagli, cose, respiri, figure, ma anche visionaria e sperimentale quanto basta. Quanta basta a una protesta, a una visione, a un’ispirazione umana che riscrive non con violenza, ma per forza interna e coerente, per amorevole e lucida “libera scelta” confini, “strettoie” e codici della lingua.

  2. Non tutti tacciono, evidentemente: c’è chi fa appello alla scrittura e cerca di sentire, di capire, di dire. Grazie; anch’io leggerò e rileggerò, proprio mentre le stragi sistematiche di persone inermi sembrano avere l’ultima parola, con la speranza che la parola sappia e possa andare oltre quest’intollerabile puzzo di violenza.

  3. Un poema a più voci.
    I titoli portano nomi di donne, ricordi che si sovrappongono, identità uguali nella umanità. Eppure una guerra divide, uccide.

    “Si dice che nel nome risieda
    il senso dell’esistenza”

  4. grazie di cuore a tutti, è un lavoro che tesso lentamente, supportata purtroppo dalla quotidianità della banalità del male che si ripete nel mietere vittime innocenti, pedine fatte di carne ed ossa, bambini senza futuro, per sporchi interessi mascherati e aizzati da ignoranza e presunzione di fede.
    un grande abbraccio a tutti voi per avermi regalato con pazienza il tempo della lettura.
    natàlia castaldi