Porta a ognuno, la poesia di Cristiano Poletti – di Daniela Pericone

Cris a casa di Nat
Cristiano Poletti

Porta a ognuno

Porta a ognuno, la poesia di Cristiano Poletti
di Daniela Pericone

È un libro per quadri e chiaroscuri Porta a ognuno (L’arcolaio, 2012) di Cristiano Poletti, una poesia che si costruisce segno dopo segno, indizio dopo indizio in un lento, e quindi destinato a perdurare, stratificarsi di visioni.
Se nella poesia di Poletti si volessero cercare elementi affini a un’altra espressione artistica questa sarebbe senza dubbio la fotografia. Nelle sue Lezioni di letteratura Julio Cortázar paragona “l’ordine chiuso” del racconto (e possiamo aggiungere della poesia) a quello della fotografia e spiega che grande fotografo è colui che colloca “dentro i quattro lati della foto un contenuto perfettamente equilibrato, perfettamente architettato, perfettamente sufficiente, che basta a se stesso ma […] che proietta anche una specie di aura fuori da se stessa, che ci lascia l’inquietudine di immaginare cosa ci sia più in là, a sinistra o a destra. […] Quell’ombra appartiene a qualcuno che non è nella foto, ma allo stesso tempo la foto ci sta dando un’indicazione piena di suggestioni”.
Con simile estro si muove il concatenarsi delle suggestioni innescate da Poletti, che dissemina i versi di tracce precise, nomina luoghi, riporta dettagli anche minimi di ambienti e paesaggi, identifica coi loro nomi persone vicine e lontane, consente insomma di creare uno scenario e condividere un’immagine, non solo osservandola dall’esterno ma divenendo noi stessi partecipi della situazione descritta. Si tratta però di uno stile solo in parte descrittivo, poiché la minuziosa nominazione degli elementi della scena si contrappone all’indeterminatezza dei dialoghi appena accennati, dei pensieri articolati in frammenti, delle impressioni quasi sfuggite alla mente del poeta. Si ha come la sensazione di essere entrati non visti in una stanza e aver sorpreso squarci di una vita che intendeva rimanere segreta. Ma è da tale apparente contrasto che si produce l’effetto poetico straniante sapientemente cercato dall’autore, che peraltro in più di un’occasione esplicita le analogie “fotografiche”.

 

Fiorine

E dov’è Lalino, adesso?
Alessandro o come lo chiameranno.

La carta vetrata dei ricordi
scortica i palmi,
pregandomi un ritorno; chiedo
cosa hai fatto, dove sei
stato, nel tempo.

Riporta a un disegno, la mente:
sulla collina, noci,
recita di foglie
ed ecco in fondo il lavatoio;
a destra, fotografia
di caldo, una sosta.
[…]

 

°

Impensato

[…]
Mi dici “non sai
essere”: altra luce
hanno gli auguri, altri gli uomini,
il loro andarsene. Capisco

cosa fare, slacciarmi l’orologio
per darti l’angolo prezioso
dei secondi – questo che illumina
nei tuoi occhi più chiari i miei -.

 

°

Finita l’aria estiva

Fotografia: un uomo solo,
sulla mano l’attimo di un saluto –
il gesto semplice che tace
la corsa al limite del grido – .
[…]

 

Un altro punto di contatto tra fotografia e poesia riguarda la radice motivazionale, quell’intento comune a entrambe di riuscire a fermare l’istante, fissare i ricordi in un eterno presente, recuperare episodi ed eventi del passato per farli rivivere e allo stesso tempo eternarli sulla carta – come sulla pellicola -, impressionando d’inchiostro il foglio incolore o evocando il bianco e nero di uno scatto fotografico dal sapore retrò. È in questi territori che si può rintracciare una delle connotazioni fondanti della raccolta, in particolare della prima sezione del libro, non a caso intitolata Posti al riparo, ossia luoghi-rifugio del vissuto, depositati sul fondo della coscienza e determinanti per la consapevolezza di sé, snodi d’interazione tra carattere individuale e ambiente esterno che nel bene e nel male danno forma al proprio modo di essere e di muoversi nel mondo. Dunque un mondo intimo, prezioso, da custodire con estrema cura e, ancor più, difendere dall’erosione del tempo, dallo sbiadire della memoria.
Non è forse questa una delle spinte profonde della scrittura? La poesia di Poletti è palesemente portatrice di tale istanza, ben consapevole del potere della parola di opporsi agli agguati del nulla, dal quale ci si sente sempre assediati, vuoi per il semplice trascorrere del tempo a ognuno toccato in sorte, vuoi per il nostro assistere impotenti allo svanire delle persone che ci stanno accanto, al dileguarsi degli affetti per vita in scadenza o per scelta estrema.
La religiosità di Poletti si misura anche in questi interrogativi, nel senso da dare alla propria vita e alla prospettiva della morte. Più esplicitamente che altrove le poesie racchiuse nella sezione centrale del libro, Giudicati, lo siamo già stati, affrontano questi temi utilizzando sovente espressioni del sentire cristiano, ma trascendendo il significato che la tradizione o l’abitudine portano ad attribuirgli, fino a farne risonare un senso nuovo, dislocato su piani diversi, e tale da offrire soluzioni ulteriori, o solo tentarle.

 

Cosa vuol venire alla luce?

A ora incerta, a fondo
lavoravo e non capivo
quanta fatica per dire soltanto
una parola, essere salvati.

Chi nella carne del mondo
prende il dolore e lo brucia
rinasce.

 

Cercare una soluzione al dolore, con tale proposito la sezione conclusiva del libro, A memoria, raccoglie testi dedicati a un amico scomparso, la cui presenza si impone in queste pagine malgrado la sua assenza fisica. È così che i versi concepiti per chi ha scelto di andarsene riescono a non parlare di morte, bensì raccontano la vita ai tempi della vita e il “sorriso, sempre”.

[…]
Suona l’accordo giusto, ti prego,
quello che sapevi e saprai
fare nella stanza tutta gentile
dove tu gentile, ne sono certo,
sorriderai.

 

Ma “niente davvero guarisce fuorché / la penna degli anni dai tratti sottili. / Luce che funziona; silenzio, vento”. Una costante di luminosità attraversa in ogni circostanza la poesia di Poletti, scrittura di rivelazioni e nascondimenti, le cui zone d’ombra non ostacolano il passaggio, bensì accompagnano verso una molteplicità di emersioni: “Apri la porta al filo del sole / perché ci stenda i panni dei miei anni.”
Il titolo stesso del libro Porta a ognuno è un’apertura alla vita, alle infinite possibilità dell’essere (lo rivela anche la disposizione grafica dei versi da cui il titolo nasce, quando le parole finali si staccano dal margine e si protendono verso l’esterno), e più ancora apertura all’altro, mai considerato come massa indistinta, piuttosto come unicità d’individuo, valore assoluto del singolo essere umano, perché “il vento smangia / motivi ore, soffia / via e porta a ognuno / niente e tutto”, o qualcosa “come un abbraccio, nell’aria di festa”.

Chi si muove in questo
metro di finestra
dove il vento smangia
motivi ore, soffia
via e porta a ognuno
niente e tutto, segni
su segni, tra paese e paesaggio?

Naturalmente consumate
forme.
                   Di chi?
                                       Ognuno.

4 pensieri su “Porta a ognuno, la poesia di Cristiano Poletti – di Daniela Pericone

  1. Poesie ricche di immagini e vibrazioni; che si fanno per frammenti, dettagli visivi, persone e punti che si spostano, si interrogano, si cercano; si trovano e si slacciano. Un io quindi mobile, “delocalizzato”, post-lirico in un certo senso: vedi l’uso di tratti quasi fotografici; vedi lo “stile del tu”, discorsivo e intimo, aperto all’altro. Emerge qui un poeta sensibile, attento, umano, mai freddo osservatore o distaccato, impassibile testimone, perché comunque “suona” e percepisce in profondità “l’accordo giusto”.

  2. Un libro che ha riscosso molto interesse. Un dettato che gioca a rimpiattino con il lettore, affascinandolo e incuriosendolo. Un abbraccio al mio autore, Cristiano. Un attestato di stima ormai consolidato alla cara Daniela Pericone. Posterò anche sugli spazi Arcolaio.